BestSelected
... le immagini di 101 autori che fanno parte del progetto BestSelected diventano un magnifico libro. Ringrazio Vanni Pandolfi per il tenace lavoro eseguito con intelligenza e passione, affinché il sogno diventasse realtà.
http://it.blurb.com/b/8575320-the-bestselected-book-vol-i
LO SGUARDO TRASFIGURANTE DEL RICORDO
Testo critico di
Oscar Meo che accompagna la pubblicazione del mio portfolio Tentativo
vano di ricordare sul n. 67 di Gente Di Fotografia
Come in altri
titoli dei suoi portfolio (si ricordi quanto meno quello pubblicato
nell'ormai lontano 1999 nel n. 22 di questa stessa Rivista, con testo
critico di Enzo Carli: Luoghi della memoria), anche in
Tentativo vano di ricordare Angelo Zzaven riassume il senso
complessivo della sua attività, che ne fa un caso particolare nel
panorama artistico contemporaneo: ricercare – con l'ausilio
dell'immaginazione – il legame fra il proprio passato e il
presente. Questo non significa che a guidare la sua ricerca sia
l'intento di restituire (o ricostruire) eventi e luoghi precisi;
anzi: lo sperimentalismo che contrassegna la sua opera non ha nulla a
che vedere con l'ancoraggio puntuale alla traccia mnestica e appare
svincolato dal “peso” ottico degli oggetti nella loro reale
fenomenicità.
C'è, nei lavori
di Zzaven, un'intenzione autoriale che sarebbe sminuente chiamare
“intimistica”. Essi ci fanno comprendere quanto sia povera la
tesi riduzionista che ha accompagnato la fotografia fin della sua
nascita: in quanto medium “trasparente” (dileguante e puramente
oggettivante), essa sarebbe inevitabilmente condannata alla
dipendenza passiva dall'oggetto, cui l'immagine è collegata da un
rapporto di causalità. L'immagine fotografica non potrebbe perciò
avere il valore di una rappresentazione artistica. Le foto di Zzaven
sembrano piuttosto corroborare quanto Susan Sontag scriveva già
negli anni '70 del secolo scorso, ossia che la fotografia ha superato
il limite della riproduzione realistica e “ha fatto proprie tutte
le conquiste antinaturalistiche della pittura”.
Il processo di
progressiva astrazione e di superamento della referenzialità ha
sicuramente subito un ulteriore impulso in epoca più recente grazie
all'avvento della tecnologia digitale, della quale Zzaven fa ormai da
molti anni uso, ma motore della sua produzione rimangono un'immutata
vis immaginativa e la vocazione alla sperimentazione
metafotografica, alla riflessione sul medium dall'interno del
medium, sulle sue possibilità e sulla sua duttilità
espressiva. In lui questo avviene anche tramite il soffermarsi sulla
qualità affettiva dell'oggetto, sul suo rapporto con la vita, le
impressioni, le pulsioni intime non solo del fotografo, ma anche
dell'osservatore.
Secondo Arnheim,
che pensa soprattutto all'istantanea e all'attività del
fotoreporter, la fotografia ha un rapporto irriducibilmente
“primario” con l'ambiente, da cui scaturisce: il suo incontro con
il mondo consiste nella proiezione ottica dell'''involucro delle
cose” e nella loro trasformazione con mezzi tecnici; di
conseguenza, essa percorre un cammino “dal fuori al dentro”, e
dunque inverso rispetto a quello della pittura e della scultura, che
non traggono origine dal mondo visivo che ritraggono. In Zzaven vi è
piuttosto il compimento di un'intenzione non oggettivante, che parte
dal “dentro” e – passando per il confronto con il “fuori” -
al “dentro” ritorna. Percorso profondo, che ci porta più vicino
alle premesse fondamentali del fare fotografico e rimanda ai modelli
storici di sperimentazione in direzione dell'astratto. Zzaven ricorda
(e ci ricorda) che la fotografia è nella sua essenza un “disegnare
con la luce”, che il fotografo può modificare le cose e gli eventi
naturali (alberi, paesaggi) o artificiali (i segni della civiltà,
come aerei e pali elettrici) senza fare a essi violenza ed evitando
che essi facciano violenza a noi.
L'indefinito, lo
sfocato, lo sfumato, la dissolvenza, la moltiplicazione delle figure
e il loro sovrapporsi (il loro rinunciare a farsi Gestalten),
il bianco e il nero (i colori non-colori della memoria e
dell'irrealtà) fanno sì che, come per lo più accade nel processo
mnestico, le cose e gli eventi diventino impalpabili, vengano evocati
confusamente e non fissati nella loro vivida realtà fenomenica,
siano sospesi fra l'essere e il non-essere, siano oggetto di una
“visione” interiore quasi metafisica, di uno sguardo
trasfigurante. Il tempo stesso è coinvolto in modo radicale in
questa ambigua situazione di “lontana vicinanza”: esso appare
nebuloso, indefinito, dilatato nel processo astrattivo, nel disfarsi
della trama nitida della realtà; non è il “qui e ora”
dell'istante fotografico, ma il tempo vissuto, soggettivo del
ricordo, in cui Zzaven pare teso a cogliere – al di là del
fenomenico – il significato del passato e del presente nel loro
indissolubile rapporto. La ricerca della fusione dei due orizzonti
temporali, impensabile se si resta ancorati alla visione oggettivante
del “realismo”, diventa possibile nella visione astraente, che
modifica lo sguardo del soggetto autoriale e dell'osservatore.
Sebbene sappia che ciò è reso possibile dagli effetti ottici
ottenuti tramite la rielaborazione dell'immagine, l'osservatore è
chiamato a ignorare l'intervento del medium, che tende bensì a
diventare “trasparente”, ma di una trasparenza che assume un
senso diverso da quello inteso dai critici “realisti”: il senso
dell'aspirazione a ricongiungersi con il passato, all'incontro con
l'''immagine vana”, con l'eìdolon fantasmatico del sogno e
del ricordo. Oscar Meo
Note:
Susan Sontag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra
società, trad. italiana di Ettore Capriolo, Einaudi, Torino, 2004.
p. 127Rudolf Arnheim, “Splendore e miseria del fotografo”, trad.
italiana di Antonio Serra in Id., Intuizione e intelletto. Nuovi
saggi di psicologia dell'arte, Feltrinelli, Milano 1987, p. 140
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